Un dolore che trasforma
La storia di Andrea parla di tempo, di lettoni matrimoniali e di "ti voglio bene". E anche di un evento che è stato importante: magari il 18 luglio può esserlo per te?
“La morte è lo strumento più potente per imparare la vita” diceva Steve Jobs in uno dei TED che mi hanno segnato la vita. Lo dice anche Andrea, del team di Lasae, che in questa newsletter ci racconta la storia di suo papà, di come lei è arrivata fin qui.
Ci parla di cosa significa imparare a dire “ti voglio bene”, a fare spazio, ad abitare un vuoto che diventa pieno, a lavorare in giardino. Ci racconta anche come ha conosciuto Lasae, in un evento della sua città, a cui, in tanti anni non era mai andata.
Anche noi facciamo un evento: giovedì prossimo, il 18 luglio alle 19.
E se ti va, ti facciamo conoscere una cosa su cui stiamo lavorando: clicca qui per testare una App (in piena costruzione!) della nostra startup inglese, Legacy Compass, che è nata proprio dall’esperienza di Lasae.
La storia di Andrea finisce con una parola che è un inizio: trasformazione. Ce ne parlerà proprio Andrea, a partire da settembre, con una serie di nuovi contenuti di Lasae: stay tuned! 😊
Buona lettura, ti aspettiamo online, giovedì!
Natalia, Elena, Arianna, Andrea
La storia di Andrea
COSA E’ SUCCESSO?
A fine settembre 2023 si è svolto Torino Spiritualità, e per la prima volta da anni (pur essendo nata e cresciuta a Torino) riesco ad andarci. L’edizione di quest’anno si intitola “Agli assenti”. Andarci è per me un evento catartico.
Sono sempre stata incredibilmente attratta dal tema della morte. Ho visto lutti da lontano e ne ho attraversati anche da vicino, ogni volta mi sono detta che c’erano degli spazi di possibilità che non stavamo esplorando, per stare meglio in quella ferita.
Il giorno in cui sono andata a Torino Spiritualità ho conosciuto Lasae. Mio papà aveva appena iniziato la terza settimana di chemioterapia.
Un mese prima, in una bellissima giornata in montagna, abbiamo festeggiato il suo sessantanovesimo compleanno festeggiando tuttə insieme in famiglia con una polentata. Cinque giorni dopo quella bella giornata papà si è sentito male, è andato in ospedale ed è tornato con un tumore al pancreas “non operabile”. Nessuno di noi ha dubitato nemmeno per un istante che da quel momento in poi, tutto il tempo insieme passato a casa con papà e mamma, fosse rimandabile. Era quello, il tempo importante. Quello che rimaneva.
La fatica e il dolore che abbiamo provato in quei (pochi) mesi è scolpita nel mio cuore, ma il ricordo più vivido e più caro è l’immagine della nostra famiglia unita
Mio papà all’inizio cercava di dirci che dovevamo restare ottimisti, ma sapevo che era solo questione di tempo perché si rabbuiasse; un pomeriggio in cui eravamo solo io e lui sedutə su una panchina si è messo a piangere - l’ho visto piangere forse per la prima volta, per se stesso.
Dopo solo un mese di chemioterapia mio padre è peggiorato, è iniziata una trafila senza fine in ospedale in cui nessunə di noi dormiva bene perché se lui era casa stava male e vomita e se invece era in ospedale eravamo tuttə in pensiero. Ho provato tantissima rabbia in quel periodo perché le comunicazioni con ə medicə non erano mai chiare e spesse volte lo lasciavamo di notte, da solo, su un lettino in mezzo a un corridoio del pronto soccorso. Senza sapere se l’avremmo rivisto.
Il 14 dicembre mio papà è morto in casa, nel lettone matrimoniale. C’eravamo tuttə ad abbracciarlo, un cerchio intorno a lui in preghiera.
Le sue ultime due settimane di vita le abbiamo vissute, per quanto possibile, come un “tempo di qualità”, proprio come ci hanno suggerito lə operatorə di Luce per la vita, una fondazione che si occupa di cure palliative e fine vita.
Quando ci è piombata addosso la notizia che non ci sarebbe stato più nulla da fare e che l’unica cosa era andare a morire a casa (qui la “chiarezza” dall’ospedale e dunque la nostra rabbia), una mia cara amica medica ci ha messo in contatto con l’hospice e in un lampo l’attesa della morte è diventata un’attesa più lieve, perché vissuta insieme tra le nostre mura d’amore.
“Lo spazio occupato da ciò che manca è anche lo spazio del possibile” scriveva Bell Hooks in un libro sull’amore che ho letto a mio papà ad agosto, in quei giorni in montagna. Lo diceva anche Michela Murgia, la morte è uno spazio possibile perché percorribile, traversabile, si trova sulla soglia. Chi se ne va, e chi resta. La connessione va soltanto cercata, e si trova nell’amore con cui ci accompagniamo. Chi vive, ma in fondo, anche chi muore.
COSA MI HA AIUTATA
Avere l’opportunità di prendermi tutto il tempo necessario è stato fondamentale.
In questo tempo mi ha aiutata: il silenzio, piangere ogni volta che ne sentissi il bisogno, concedermi ogni giorno un momento di pianto e sfogo, solo per me, prendermi il tempo di passeggiare o rimanere in silenzio, cercare la commozione anche con la mia famiglia.
Ho smesso di fare tante cose della mia “vecchia” vita, ho lasciato tante attività che mi occupavano il tempo, ho svuotato tutto per stare con la mia famiglia e con le persone più care, e il tempo ritrovato mi ha donato una serenità incredibile.
COSA HO IMPARATO IN QUESTO ANNO DI LUTTO?
Che fare spazio si può, si può vivere in un vuoto che in realtà è pieno.
Ho imparato a perdonarmi, a dirmi che il pezzo che ho fatto è sufficiente, va già bene; che può pensarci qualcun altrə; che non sarò io a fare la differenza, che posso vivere più serenamente senza pesi e senza colpe.
Ma soprattutto, la morte di mio papà mi ha insegnato che il tempo passato con ə nostrə carə non è per sempre. Il per sempre è qui e ora…
Nel dire una volta in più ti voglio bene. Nell’esserci.
Che ascoltarsi è il compito più difficile ma più sacro che abbiamo. Che arrivare preparatə alla morte aiuta, perlomeno a comprendere la cornice di dolore in cui si viene inseritə. E soprattutto, che il dolore e la tristezza ci trasformano, è inutile ignorarlo.
Io sono Andrea e questa è la mia storia. Se vuoi contattarmi, mi trovi su Instagram: @andrezenzena e su LinkedIN
Un abbraccio,
Andrea
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