Darsi il permesso di fermarsi.
Da piccola disegnavo: scarabocchi di bambine un po' più grandi di me, magre ma con una terza di reggiseno e l’apparecchio (che trovavo estremamente attraente, forse perché io non ce l’avevo). Dai quattordici anni in poi, d’estate aiutavo Emilio, il fiorista di Bolsena: era un lavoro a tratti faticoso ma che mi faceva tornare a casa contenta: quei fiori, effimeri ma bellissimi, avevano il potere di dare gioia in modo semplice.
Alle scuole medie ho smesso di disegnare: sono scomparse le ragazzine (che da bambine nel frattempo erano cresciute anche nei miei fogli) e ho abbandonato il sogno di fare l’arredatrice di interni. In quel periodo ho abbandonato anche la danza; i fiori, invece, sono rimasti, anche se non ho mai avuto il pollice verde.
Nel Natale 2020 ho visto mia mamma spegnersi: l’ho vista non riuscire più ad alzarsi dal letto, l’ho vista piangere perché per la prima volta non avrebbe potuto comprare i regali, l’ho aiutata a impacchettare qualcosa di semplice, l’ho convinta che l’albero di Natale l’avrei fatto in camera sua perché di sotto era freddo. Chi veniva in visita raccontava i suoi preparativi per Natale: mi dicevano di sorridere, di farmi coraggio, di gustarmela tutta.
In quel periodo qualcosa si è fermato, dentro di me. Sempre in quel periodo, ho ricominciato a disegnare: non più ragazzine, ma semi, rami, fiori e frutta. Dopo qualche settimana il disegno è diventato un cerchio: chi lo vedeva lo scambiava per una ghirlanda di fiori. In realtà, era un ciclo. Ho continuato a raffinarlo, in quelle settimane: disegnavo il lungo tempo delle stagioni, dei semi sottoterra, al buio per mesi, di rami che si solidificano solo negli anni, in una struttura finalmente abbastanza forte per ospitare i fiori, tanto belli quanto temporanei, che a loro volta lasceranno posto ai frutti, che, per moltiplicarsi, dovranno prima ritornare alla terra. Morire, a loro volta.
Quanto tempo ci vuole prima che qualcosa accada, prima che i semi germoglino, che un dolore guarisca, che un progetto prenda la sua giusta forma?
Quanto sole, pioggia, pazienza e cura?
Quanta perseveranza è necessaria prima che?
Questa edizione della newsletter esce dopo averne saltata una: mi è dispiaciuto, ma non ce la facevo.
È un periodo di semi, al buio, sottoterra, per me. Vinco la paura solo quando mi fermo, e accetto di darmi il permesso: tolgo il pilota automatico e mi faccio le domande, quelle vere, anche se il mondo, là fuori, mi vorrebbe sempre pronta, efficiente, inalterabile.
Come sto, veramente?
Come mi sento?
Cosa voglio: per me stessa, per un mio progetto, per la mia vita personale?
È accettabile?
Ci si può dare il tempo?
Darsi il permesso di fermarsi: i cicli succedono solo quando è arrivato il momento. Succede lo stesso anche quando manca qualcuno, e volte in cui manchiamo a noi stesse.
Il tempo di fermarsi lo diamo anche a Lasae, per lasciarci maturare: ascolteremo un bisogno di riflessione e di dosaggio degli sforzi, che – non solo io, ma anche Manuela, Alessandra, Francesca e Elena, del team di Lasae – ci stiamo mettendo. Per adesso, la newsletter diventa mensile, dal mese di novembre la newsletter riprenderemo con i contenuti pratici: tra quattro venerdì torniamo con un nuovo video.
Se ti va, puoi farci comunque compagnia: scrivici a progetto.lasae@gmail.com, facci sapere che ci sei, anche solo rispondendo a questa mail, oppure raccontandoci la tua storia, o compilando il nostro form. O dicci cosa ti piacerebbe, da un progetto come questo.
Nel frattempo, noi proveremo a prenderci il tempo di stare, di sentire con più profondità.
Con affetto,
Natalia e tutto il team di Lasae.